Il tumore dell’endometrio è stato recentemente un argomento di grande dibattito dal punto di vista della biologia molecolare. È infatti noto che anche per questo tumore esistono note mutazioni ricorrenti, spesso nell’ambito di sindromi genetiche ereditarie come la Sindrome di Lynch, la Poliposi Familiare o la Malattia di Cowden. Tuttavia il vero cambio di rotta è stato introdotto dalle scoperte del progetto The Cancer Genome Atlas (TGA), che ha individuato 4 diversi sottogruppi molecolari di tumore dell’endometrio:

  • Tumori ultramutati: caratterizzati da mutazioni del gene DNA polimerasi-epsilon (POLE)
  • Tumori ipermutati: caratterizzati da instabilità dei microsatelliti (MSI)
  • Tumori a basso numero di copie: caratterizzati a poche mutazioni (NSMP)
  • Tumori ad alto numero di copie: caratterizzati da mutazioni di p53

Tabella Sottogruppi

Questa suddivisione non è comunque netta, esiste la possibilità di sovrapposizione delle varie mutazioni. Inoltre è possibile riscontrare ulteriori mutazioni che al momento non hanno un impatto clinico definito come HERB2, KRAS ecc.

Queste scoperte in ambito genetico, in particolare la suddivisione in sottogruppi con diversa prognosi, sono state infatti integrate nella stadiazione in basso, intermedio, intermedio-alto e alto rischio del carcinoma endometriale e si sono quindi rivelate importanti nella gestione clinica della paziente.

DNA polimerasi-epsilon (POLE)

Questo gene codifica per la subunità catalitica, quindi attiva, della DNA polimerasi-epsilon, proteina coinvolta nella corretta sintesi e riarrangiamento della catena del DNA. Questo tipo di mutazione si ritrova prevalentemente in pazienti giovani, con tumori principalmente endometrioidi, in stadio precoce sebbene di alto grado. Si tratta di un sottogruppo con buona prognosi, anche nel caso in cui sia compresente la mutazione di p53, considerata invece con prognosi infausta. Per questo motivo queste pazienti sono considerate a basso rischio ed è stato proposto di ridurre o addirittura evitare trattamenti adiuvanti chemioterapici in questi casi. Lo studio sperimentale PORTEC4a potrà fornire informazioni più dettagliate sulla strategia da utilizzare nelle pazienti POLE-mutate a rischio intermedio.

Instabilità dei microsatelliti (MSI)

Si tratta di una condizione patologica caratterizzata da una meno efficiente riparazione dei difetti di appaiamento dei nucleotidi della doppia catena del DNA (cosiddetti mismatch). I geni interessati da mutazione sono MLH1, MSH2, PMS2 e MSH6. Spesso la mutazione di questi geni si correla alla sindrome di Lynch, ma esistono casi sporadici non geneticamente correlati. Questo sottogruppo presenta molte affinità con il gruppo dei tumori POLE-mutati, essendo questi tumori tipicamente endometrioidi, di alto grado e abbondante infiltrato linfocitario. Tuttavia, la prognosi è intermedia e le pazienti sono pertanto considerate a intermedio-alto rischio. Dal punto di vista della gestione clinica si è osservato che questo sottogruppo risponde poco alla chemioterapia, che quindi non è indicato come il trattamento adiuvante di scelta, mentre è preferibile trattare queste pazienti con la radioterapia. Una particolarità dei tumori con instabilità dei microsatelliti è la frequente presenza di invasione linfovascolare (LVSI), che tuttavia rimane un fattore prognostico indipendente presente anche nei sottogruppi p53 mutati e NSMP.

P53, tumori con alto numero di copie

P53 è una proteina chiave in molti passaggi cruciali del ciclo di vita della cellula: regola infatti il ciclo cellulare e la morte programmata della cellula. Un suo danno porta ad una proliferazione incontrollata della cellula mutata con frequente inizio della malattia tumorale. Questo sottogruppo ha prognosi infausta, anche se istologicamente il tumore si presentasse come ben differenziato. Queste pazienti sono considerate a rischio intermedio o alto e hanno alto beneficio dalla chemioterapia e radioterapia adiuvanti.

NSMP, tumori con basso numero di copie

I dati su questo gruppo sono meno numerosi. Vengono classificati con sottogruppo a prognosi intermedia e quindi sono assimilabili al sottogruppo di tumori con instabilità dei microsatelliti. Anche in questo caso il trattamento adiuvante più indicato è quello radioterapico, poiché la risposta alla chemioterapia non risulta eccellente.

Conclusioni e nuove prospettive

L’assetto molecolare si è rivelato non solo un importante fattore prognostico, ma fornisce anche la possibilità di modificare il trattamento della patologia con ricadute importanti sulla sopravvivenza della paziente. Lo studio della biologia molecolare, tuttavia, non si propone di rimpiazzare altri fattori prognostici più noti come il grado, l’istotipo o l’LVSI, ma di integrarsi con essi aggiungendo ulteriori informazioni. Non è stato ancora identificato se la biologia molecolare abbia un impatto anche sulla sensibilità dei diversi tumori alle diverse molecole chemioterapiche utilizzate.

Lo sforzo della ricerca e degli studi clinici si muove pertanto in questa direzione, soprattutto per quanto riguarda le terapie molecolari mirate come i PARP-inibitori e i farmaci immulochemioterapici come l’Atezolizumab. Questo potrebbe davvero cambiare la prognosi in particolare delle pazienti p53 mutate, quelle con i risultati più problematici in termini di sopravvivenza.

Giulia Parpinel e Maria Elena Laudani

Università degli Studi di Torino,

Scuola di Specializzazione in Ginecologia e Ostetricia,

Dipartimento di Scienze Chirurgiche

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