In questo articolo si descrivono i risultati di uno studio scientifico, tutto italiano, appena pubblicato sulla prestigiosa rivista internazionale “Science Translational Medicine”. Lo studio evidenzia per la prima volta la possibilità di fare diagnosi precoce del tumore ovarico sieroso ad alto grado tramite l’analisi delle caratteristiche molecolari del DNA estratto dal Pap-test.
Diagnosi precoce del tumore ovarico: un’utopia
Fino a oggi si è sempre pensato che la diagnosi precoce del tumore ovarico fosse l’unica strada per riuscire a migliorare la sopravvivenza delle pazienti. La filosofia è quella sempre discussa in questi anni: quanto più tempestiva è la diagnosi tanto più curative saranno la chirurgia e la terapia farmacologica. I dati clinici dimostrano che quando la malattia è diagnosticata allo stadio I, cioè confinata alla sede ovarica, la sopravvivenza è intorno all’80% mentre se la malattia è diagnosticata quando è già diffusa, con metastasi in diverse sedi peritoneali (stadio III-IV), la sopravvivenza è inferiore al 30%.
Ma come fare diagnosi precoce? La sintomatologia è da sempre confusa, e i marcatori ematici oggi disponibili (ad esempio CA-125) o l’ecografia transvaginale non si sono dimostrati strumenti adeguati per fare diagnosi precoce del tumore ovarico. Per questo, negli anni la possibilità di fare diagnosi precoce per il tumore ovarico è sempre stata vista come una utopia.
Analisi del DNA prelevato dal Pap-test: la svolta
Per cercare di risolvere il problema della diagnosi precoce e rispondere a questa importante domanda clinica, da alcuni anni i ricercatori si sono concentrati sul DNA estratto dal tessuto prelevato durante il Pap-test, un test diagnostico utilizzato comunemente in clinica per lo screening dei tumori della cervice uterina e che ha dimostrato le sue enormi potenzialità nella diagnosi precoce di questa neoplasia. Da alcuni anni alcuni gruppi di scienziati hanno scoperto che il DNA estratto dal Pap-test non proviene solo dalle cellule del collo dell’utero, ma anche dalle cellule tumorali presenti nelle tube, la sede primitiva dove si sviluppa circa l’80% dei tumori dell’ovaio sierosi ad alto grado.
Esiste quindi un flusso di cellule che originatesi nei diversi distretti anatomici dell’apparato riproduttivo femminile possono essere raccolte attraverso questo semplice test e analizzate. Il marcatore utilizzato per queste inziali indagini era la presenza di mutazioni nel gene TP53, uno dei primi geni alterati nel processo di trasformazione neoplastica che porta all’insorgenza del tumore ovarico sieroso ad alto grado. Nonostante i dati incoraggianti, l’analisi delle mutazioni di TP53 non poteva essere utilizzata per sviluppare un test per la diagnosi precoce. Questi studi partivano dalla conoscenza a priori delle mutazioni in TP53 presenti nel tumore per poi andarle a ricercare in modo puntuale nel DNA estratto dai Pap-test, anni prima della diagnosi. Il problema è che le mutazioni in TP53 non sono dei buoni biomarcatori per il tumore ovarico in quanto anche i tessuti normali, in condizioni fisiologiche, possono presentare mutazioni nel gene TP53, e quindi risulta difficile riuscire a distinguere nella popolazione sana le mutazioni in TP53 di natura patologica da quelle di natura fisiologica. Questi studi hanno comunque dimostrato che il DNA tumorale può essere intercettato nel Pap-test almeno sei anni prima della diagnosi, fornendo così una finestra temporale in cui poter intervenire. Il problema a questo punto era identificare il biomarcatore specifico per discriminare il DNA di origine tumorale da quello sano.
Il DNA tumorale è instabile
La svolta, l’intuizione, viene dall’aver focalizzato l’attenzione non più sulle singole mutazioni puntiformi ma su un’altra caratteristica chiave delle cellule tumorali: l’instabilità genomica. Con la perdita della funzione della proteina TP53, le cellule iniziano un percorso di progressiva acquisizione o perdita di materiale genomico in diverse aree dei loro cromosomi, cambiando cosi la struttura e l’organizzazione del DNA stesso. A causa della eterogeneità del processo, queste alterazioni sono peculiari per ogni singola paziente e tendono a cambiare nel tempo. In breve, l’instabilità genomica rende il DNA tumorale completamente diverso da quello delle cellule normali e per questo facilmente identificabile attraverso una analisi di sequenziamento molto blanda del DNA detta: low pass Whole Genome Sequencing (sWGS). Questo approccio è risultato vincente in quanto la tecnologia può essere facilmente implementata in ogni singolo centro ospedaliero e non richiede particolari strutture bioinformatiche di supporto. A volte è necessario ridurre la lente di ingrandimento per cercare di risolvere i problemi.
EVA test e la diagnosi precoce del tumore ovarico
In una corte retrospettiva di 66 donne che hanno sviluppato un tumore ovarico sieroso ad alto grado e di cui era disponibile il Pap-test anni prima della diagnosi, è stato analizzato il profilo di instabilità genomica e confrontato con quello di donne sane. L’idea è stata quella di non guardare alle singole alterazioni ma di quantificare, cioè di sommare la totalità delle alterazioni presenti nel DNA. È stata introdotta una misura, cioè un numero chiamato CPA (Copy number Profile Abnormality) che indica quanto è il DNA alterato rispetto a quello non alterato. Il valore di CPA derivato dai Pap-test delle donne sane è estremamente diverso dal valore di CPA derivato delle donne che hanno poi sviluppato malattia. Questo è il principio del test messo a punto e chiamato EVA (Early oVArian cancer) test. I valori di CPA erano indicativi della presenza di una trasformazione neoplastica già otto anni prima della diagnosi, un dato in linea con le misure ottenute precedentemente con l’analisi delle mutazioni in TP53 e predette dai modelli matematici. L’EVA test, con le sue caratteristiche di sensibilità e specificità, garantisce quindi una finestra temporale per poter seguire nel tempo l’evoluzione della malattia e intervenire tempestivamente.
Sviluppi futuri.
Sebbene questi risultati siano un orgoglio per la ricerca scientifica italiana, la loro validazione e la possibilità che l’EVA test possa diventare un test diagnostico a tutti gli effetti, richiede un respiro internazionale e la collaborazione con altri centri nazionali e internazionali su casistiche molto più ampie e con campioni raccolti in modo sistematico. Questo richiede tempo e molti sforzi negli anni futuri. Una sua diretta applicazione nel breve periodo potrebbe essere nel monitoraggio delle donne con sindromi eredo-familiari in cui a causa della presenza di mutazioni nei geni BRCA1/2 il rischio di sviluppare un tumore ovarico è molto più alto rispetto alla popolazione non mutata. In questa popolazione di donne sane purtroppo manca qualsiasi aiuto al medico e al chirurgo per capire se e quando intervenire con una chirurgia profilattica per ridurre il rischio di sviluppare il tumore. L’EVA test potrebbe rappresentare la risposta a questa domanda, in quanto attraverso un monitoraggio continuo e l’analisi del DNA prelevato con il Pap-test, il medico e la paziente potrebbero capire se il rischio sta aumentando in quanto il valore di CPA si sta spostando dai valori di riferimento della popolazione sana.
Sergio Marchini
Head, Molecular Pharmacology Lab
IRCCS, Humanitas Research Hospital, Milano
Per saperne di più:
- Paracchini L, Mannarino L, Romualdi C, et al. Genomic instability analysis in DNA from Papanicolaou test provides proof-of-principle early diagnosis of high-grade serous ovarian cancer. Sci Transl Med. 2023;15(725):eadi2556. doi:10.1126/scitranslmed.adi2556
- Paracchini L, Pesenti C, Delle Marchette M, et al. Detection of TP53 Clonal Variants in Papanicolaou Test Samples Collected up to 6 Years Prior to High-Grade Serous Epithelial Ovarian Cancer Diagnosis. JAMA Netw Open. 2020;3(7):e207566. Published 2020 Jul 1. doi:10.1001/jamanetworkopen.2020.7566