Il tumore cervicale causa circa 350.000 decessi ogni anno in tutto il mondo ed è perciò considerato un problema di salute pubblica globale. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha stimato che per eradicare il tumore cervicale dal novero dei problemi di salute pubblica globale bisogna raggiungere un’incidenza inferiore a quattro casi ogni 100.000 donne all’anno. Per raggiungere questo obiettivo l’OMS ha lanciato una “Strategia globale per accelerare l’eradicazione del tumore cervicale come problema di salute pubblica” secondo cui ogni Paese deve:

  1. vaccinare contro lo Human Papillomavirus (HPV) almeno il 90% delle ragazze fino ai 15 anni,
  2. effettuare lo screening ad almeno il 70% delle donne tra i 35 e i 45 anni,
  3. trattare almeno il 90% delle donne con una diagnosi di tumore cervicale.

Mentre alcuni Paesi hanno annunciato di riuscire a raggiungere questi obiettivi nel breve-medio termine (Australia entro il 2028, Regno Unito entro il 2040 e Stati Uniti tra il 2038 e il 2046), questi obiettivi si prospettano essere più lontani – se non irraggiungibili – per i Paesi a medio e basso reddito.

 

Le disuguaglianze in materia di salute sono su più livelli

L’OMS si prefigge di eradicare il tumore cervicale a livello globale, ma è fondamentale sottolineare che l’80% delle diagnosi e il 90% dei decessi avviene nei Paesi a medio e basso reddito, dove gli obiettivi sono difficilmente perseguibili per marcate differenze in materia di salute e politiche sanitarie rispetto ai Paesi ad alto reddito. Inoltre, sebbene i Paesi ad alto reddito abbiano molti strumenti per rendere l’eradicazione una realtà, i loro progressi sono limitati dalle loro stesse disuguaglianze interne (geografiche, socioeconomiche ed etniche). Per tali motivi risulta fondamentale identificare quali siano le barriere al raggiungimento degli obiettivi dell’OMS in ciascun contesto.

 

  1. Vaccinare il 90% delle ragazze entro i 15 anni

Il vaccino contro l’HPV protegge dai ceppi cancerogeni del virus e riduce la crescita dei tumori cervicali invasivi ma non offre una protezione diretta per chi ha già sviluppato la neoplasia; il suo scopo è dunque quello di ottenere, nel giro di qualche generazione, un’immunità di gregge nei confronti del virus. È stato dimostrato nel Regno Unito che questa vaccinazione riduce il rischio di sviluppare il tumore cervicale e una neoplasia cervicale intraepiteliale di grado 3 rispettivamente dell’83,9% e del 94,3%. Il tasso di tumori cervicali invasivi si è ridotto dell’80% nelle donne vaccinate a prescindere dal loro stato economico e sociale, suggerendo che la vaccinazione sia molto efficace anche nei gruppi marginalizzati o in quelli con maggiore prevalenza di fattori di rischio come fumo di sigaretta, consumo di alcol e bassa aderenza allo screening. Inoltre, da studi di coorte è stata osservata una riduzione incrementale fino all’86% del rischio di sviluppare tumore cervicale. Considerando questi risultati, i costi di una campagna di vaccinazione sono ampiamente superati dai benefici nei Paesi ad alto reddito, per cui l’obiettivo OMS risulta verosimilmente perseguibile.

Questo non si può sempre dire per i Paesi a medio e basso reddito, dove i costi per una campagna di vaccinazione rappresentano la principale barriera per la sostenibilità di un progetto così ambizioso, come ha riportato UNICEF. Pertanto, date le incertezze economiche sull’accessibilità al vaccino per l’HPV, il primo obiettivo OMS non può sempre essere garantito – come successo al Nepal, che nel 2022 ha cancellato l’avvio del programma nazionale di vaccinazione a causa di insufficienza di fondi.

 

  1. Sottoporre a screening il 70% delle donne tra i 35 e i 45 anni

I test attualmente impiegati nello screening per il tumore cervicale sono il Pap-test, che serve a rilevare la presenza di cellule precancerose, ed il test per l’HPV, che serve a rilevare la relativa infezione. Il Pap-test è ormai routinario nei Paesi ad alto reddito ma ha riscosso meno successo in quelli a medio e basso reddito. Regno Unito e Stati Uniti hanno già raggiunto il secondo obiettivo dell’OMS, con rispettivamente il 70% e 72% di donne sottoposte a screening. Ciononostante, a causa delle barriere linguistiche, di accesso e della bassa alfabetizzazione sanitaria delle pazienti, molte sono le donne che non si sottopongono a screening.

Nei Paesi a medio e basso reddito la preferenza in termini di screening è rivolta ai più economici test per l’HPV e al test visivo. Il test visivo ha dei costi molto bassi in quanto si serve solo dell’acido acetico, la cui applicazione sull’epitelio cervicale anormale ne causa una riduzione della trasparenza con un effetto visibile a occhio nudo, tuttavia le principali problematiche rimangono la sua efficacia e qualità. Infine, senza un adeguato follow-up, lo screening cervicale risulta comunque una misura inefficace indipendentemente dallo screening utilizzato.

 

  1. Trattare almeno il 90% delle donne con tumore cervicale

Analogamente ai primi due punti, la capacità di diagnosi e di trattamento delle lesioni precancerose nonché della neoplasia è elevata nei Paesi ad alto reddito, nonostante il completamento del trattamento rimanga un problema soprattutto per le donne appartenenti a gruppi marginalizzati. Gli interventi per mitigare questi problemi includono principalmente orari e luoghi convenienti per gli appuntamenti, ulteriori ricerche sulle terapie topiche domiciliari controllate dalle pazienti, e la formazione del personale sanitario per un’assistenza culturalmente sensibile, informata e inclusiva.

Lo screening del tumore cervicale e il trattamento delle lesioni precancerose sono limitati o assenti in molti Paesi a basso e medio reddito e, laddove lo screening è disponibile, l’accesso resta comunque ineguale tra le donne sulla base di età, reddito, area di residenza e istruzione. Per tali motivi è fondamentale non solo che i governi costruiscano le infrastrutture, ma bisogna includere tra gli obiettivi di equità nell’accesso all’assistenza sanitaria anche un maggior accesso all’istruzione e, conseguentemente, l’empowerment di donne e ragazze.

 

E in Italia?

Per quanto riguarda la prevenzione, in Italia la vaccinazione è raccomandata e offerta gratuitamente a maschi e femmine sin dal 2017. Ciononostante, la copertura attuale è ancora lontana dagli obiettivi OMS: è del 61% per cento nelle bambine e ragazze fra i 9 e i 14 anni. Lo stesso vale per lo screening per HPV e Pap-test, che hanno subìto una importante riduzione della copertura durante la pandemia – raggiungendo il 23% nel 2020 –, arrivando a coprire il 39,2% delle donne della fascia di età 35-45 anni nel 2023 (con un range che varia tra il 47,8% del Nord, il 33,4% del Centro e il 32,6% di Sud e Isole).

 

In conclusione

Volendo valutare la fattibilità della “Strategia globale per accelerare l’eradicazione del tumore cervicale come problema di salute pubblica” bisogna considerare le molte disuguaglianze da identificare e affrontare relativamente all’accesso alla prevenzione e al trattamento. Queste disuguaglianze si trovano sia tra i Paesi e sia al loro interno, e si identificano in base alla ruralità, al reddito, all’etnia, allo stato di immigrazione e alla mancanza di assicurazione sanitaria. Per risolvere queste disuguaglianze bisogna lanciare delle iniziative di sanità pubblica che migliorino i determinanti sociali della salute che andranno a beneficio delle donne a livello globale e contribuiranno a porre fine alle forti disuguaglianze in materia di tumore cervicale.

Se è ragionevole pensare che l’eradicazione del tumore cervicale possa diventare una realtà nei Paesi ad alto reddito nei prossimi decenni – pur dovendo questi compiere uno sforzo per risolvere le disuguaglianze interne di accesso alla vaccinazione, allo screening e al trattamento – per la maggior parte dei Paesi a basso e medio reddito, questo risultato non è attualmente considerabile prima della fine del secolo.

 

 

Pasquale Paletta

Ricercatore, Laboratorio di Ricerca per il Coinvolgimento dei Cittadini in Sanità

Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS

 

 

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