La terapia dei tumori ovarici

I carcinomi dell’ovaio sono una famiglia eterogenea di tumori maligni di tipo epiteliale che hanno delle caratteristiche biologiche, patologiche e cliniche diverse.

La terapia adiuvante

La terapia medica viene definita adiuvante perché effettuata dopo l’intervento chirurgico, cioè in aiuto alla terapia chirurgica, al fine di eliminare con l’impiego di farmaci le cellule tumorali che non sono state eliminate dall’atto chirurgico. È utile sottolineare come la maggioranza dei carcinomi dell’ovaio vengano generalmente diagnosticati in fase avanzata quando il tumore ha prodotto metastasi che coinvolgono gli organi presenti nella cavità peritoneale. Questo spiega perché attraverso la chirurgia non sia possibile eradicare completamente la malattia che nella maggior parte dei casi permane con metastasi, a volte anche molto piccole (microscopiche), nella cavita addominale. Il tumore residuo dopo chirurgia è di fatto il principale fattore prognostico, come si dice in termini medici. In altre parole minore è il tumore residuo e maggiore sarà la probabilità di remissione a lungo termine e la sopravvivenza della paziente.

La terapia neo-adiuvante

In alcuni casi il chirurgo può ritenere che l’estensione della malattia renderebbe molto difficile la rimozione totale del tumore e può optare per una strategia alternativa, quella di iniziare una terapia medica di prima linea prechirurgica e dopo 4 cicli attuare l’intervento chirurgico in una situazione più favorevole. Questo trattamento – detto neoadiuvante – viene effettuato con gli stessi farmaci utilizzati per il trattamento adiuvante e viene poi proseguito dopo l’intervento chirurgico con altri cicli di terapia.

La combinazione di carboplatino e paclitaxel

L’efficacia della combinazione di carboplatino e paclitaxel, che è tuttora la terapia standard di prima linea, è certamente suffragata da moltissimi studi. Questa terapia viene attuata in tutti i casi di carcinoma dell’ovaio indipendentemente dall’istotipo o dal grado di differenziazione. Questo è un punto che è attualmente in discussione fra gli esperti. Infatti, le pazienti che hanno partecipato ai principali studi che hanno portato all’impiego di questi farmaci in prima linea erano affette da carcinomi dell’ovaio in fase avanzata di ogni istotipo, ma poiché circa l’80% dei casi era classificabile come di sierosi ad alto grado, evidentemente i risultati complessivi dipendevano principalmente dalla sensibilità di questo istotipo alla terapia. La relativa rarità dei diversi istotipi che non sono sierosi ad alto grado (cioè i carcinomi sierosi a basso grado, i tumori endometrioidi, i tumori mucinosi e i tumori a cellule chiare) ha reso fino ad oggi difficile attuare degli studi comparativi, ma esiste il dubbio che per questi istotipi bisognerebbe studiare delle terapie che tengano conto delle differenze biologiche – studi che sono attualmente in corso in diversi laboratori di ricerca.

Il Carboplatino

Il carboplatino è il farmaco di scelta in quanto la sua tossicità renale è minore e la sua tollerabilità è complessivamente migliore di quella del cisplatino, con un’efficacia paragonabile. È un farmaco che agisce causando dei danni al DNA e la sua selettività è probabilmente attribuibile al fatto che la maggioranza dei tumori dell’ovaio ha dei difetti di riparazione del DNA, e quindi le cellule tumorali sono particolarmente suscettibili alla sua azione. Non potendo riparare il danno le cellule tumorali muoiono, mentre le cellule normali riescono a superare il danno subito.

La “Ricombinazione omologa” è il principale meccanismo di riparazione del DNA coinvolto nella particolare sensibilità del carcinoma ovarico ai danni al DNA prodotti da carboplatino. Molti tumori ovarici hanno dei difetti di questo meccanismo dovuto alla presenza di mutazioni dei geni BRCA1 e BRCA2 o di altri geni coinvolti in questo processo.

La principale tossicità del carboplatino è a livello del midollo osseo (il tessuto che produce le cellule del sangue) e quindi durante la terapia bisogna sempre monitorare il numero dei globuli bianchi (particolarmente dei neutrofili, la cui diminuzione aumenta la vulnerabilità a processi infettivi) e delle piastrine (che hanno un ruolo importante nell’emostasi e la cui carenza può provocare emorragie). Inoltre il farmaco può causare una tossicità sul sistema nervoso periferico, particolarmente dopo trattamenti prolungati con paclitaxel. In alcuni casi ci possono essere fenomeni allergici al platino che richiedono dei trattamenti specifici.

 

Il Pactitaxel

Questo farmaco è un prodotto naturale estratto originariamente dalla corteccia di un particolare Tasso e oggi ottenuto per via semisintetica da estratti delle foglie dello stesso albero. È un composto che agisce su una proteina che si chiama tubulina, bloccando la capacità delle cellule a dividersi (blocco della mitosi). Ha una tossicità ematologica che richiede dei periodici controlli, provoca anche alopecia e può causare tossicità sul sistema nervoso periferico, soprattutto dopo trattamenti molto prolungati.

Altri farmaci: olaparib e bevacizumab

La terapia standard di prima linea si basa sull’uso combinato di carboplatino e paclitaxel, ma recentemente si è arricchita dell’impiego di altri farmaci risultati efficaci in protocolli sperimentali e che sono impiegati nella pratica clinica.

In particolare, mentre fino a poco tempo fa la terapia di prima linea che generalmente prevedeva 6 cicli di trattamento veniva poi interrotta e le pazienti non ricevevano alcun farmaco fino alla recidiva, oggi per tutte le pazienti che hanno risposto in modo positivo alla prima terapia con carboplatino e pactitaxel si prospetta la possibilità di una terapia di mantenimento con olaparib o altri farmaci analoghi che agiscono inibendo l’enzima PARP. PARP è un enzima coinvolto nei meccanismi di riparazione del DNA. La terapia con inibitori di PARP ha prolungato la durata della sopravvivenza in pazienti rispondenti al carboplatino che avevano mutazioni germinali o somatiche di BRCA1 o BRCA2. La mutazione di questi geni comporta una deficienza della “Ricombinazione omologa”, che i colleghi anglosassoni chiamano Homologous Recombination Deficiency, abbreviandola con la sigla HRD.

Studi recenti hanno dimostrato che i farmaci che inibiscono PARP non sono attivi solo nei casi che presentano mutazioni di BRCA1 e BRCA2, ma anche quando c’è una HRD dovuta ad altri meccanismi, che può essere determinata da test oggi disponibili.

Olaparib o altri analoghi come niraparib o rucaparib sono sostanze che vengono somministrate in modo cronico giornalmente per via orale con una tossicità abbastanza contenuta nella maggioranza dei casi. Si richiede anche per queste sostanze un attento monitoraggio ematologico durante la terapia che può essere attuata per lunghissimi periodi di tempo, anche anni se non compare la recidiva. Gli studi attuati fino ad oggi ci mostrano che una quota di pazienti ha un controllo molto prolungato della malattia con questa terapia di mantenimento.

Un altro farmaco che può essere utilizzato nel mantenimento è bevacizumab, che è un anticorpo che blocca il VEGF (fattore di crescita dell’endotelio vascolare – in inglese vascular endothelial growth factor) che è il principale fattore angiogenico responsabile della neoformazione di vasi sanguigni nel tumore. Questo anticorpo ha un’attività antitumorale e inibisce la formazione di ascite in pazienti con carcinomi dell’ovaio avanzato; può essere impiegato anche con i farmaci utilizzati nella terapia standard di prima linea (carboplatino e paclitaxel) o in seconda linea alla recidiva. Le tossicità principali di bevacizumab riguardano il sistema cardiovascolare ed è importante monitorare la pressione arteriosa nelle pazienti in trattamento.

Studi recenti ci fanno intravedere la possibilità di combinare bevacizumab con un inibitore di PARP attuando così una terapia di mantenimento, che parrebbe essere in grado di migliorare il controllo della malattia.

Recidiva e farmaci

Anche se nelle pazienti rispondenti alla prima linea di terapia in molti casi l’impiego di inibitori di PARP ha migliorato il controllo della malattia a volte in modo duraturo, la maggior parte delle pazienti con tumore dell’ovaio va incontro a recidiva. Alla recidiva è indicato attuare un programma di successive linee terapeutiche. La scelta dei trattamenti da effettuare nella seconda o terza linea terapeutica è principalmente dettata dal tipo e dalla durata della risposta terapeutica alla prima linea terapeutica.

Circa l’80% delle pazienti risponde molto bene alla prima linea terapeutica post-chirurgica, ma quasi sempre dopo un periodo più o meno lungo la malattia ricompare.

Se la recidiva avviene dopo un anno o successivamente dalla fine del trattamento con carboplatino, si ritiene che il tumore possa rispondere ancora a un ritrattamento con carboplatino, che in questo caso può essere combinato al Caelix (doxorubicina liposomiale peghilata) o alla gencitabina.

Sia la doxorubicina liposomiale peghilata sia la gencitabina utilizzate da sole hanno un’attività modesta, ma hanno dato dei buoni risultati combinate con carboplatino con una tossicità accettabile. Se la recidiva avviene dopo almeno sei mesi dalla fine del trattamento di prima linea con carboplatino ma prima di un anno, si può riutilizzare il carboplaino come per le recidive che avvengono tardivamente oppure, alternativamente, si può utilizzate la trabectedina in combinazione con doxorubicina liposomiale peghilata (il Caelix). Trabectedina è un composto di origine marina, oggi ottenuto per sintesi chimica, che agisce bloccando la proliferazione di cellule tumorali e modificando il microambiente tumorale. Il trattamento con trabectedina in queste pazienti rende possibile poi un successivo ritrattamento con carboplatino nella successiva recidiva. Secondo alcuni studi preclinici, confermati solo in parte in clinica, il pretrattamento con trabectedina potrebbe aumentare l’effetto antitumorale del carboplatino senza necessariamente aumentarne la tossicità.

Altre opzioni terapeutiche da utilizzare nelle pazienti resistenti alle terapie di prima linea o a terapie successive riguardano l’utilizzo del paclitaxel con uno schema settimanale relativamente poco tossico o anche l’anticorpo bevacizumab, che in alcuni casi può tenere sotto controllo la malattia con effetti collaterali relativamente modesti.

Trattamento dei primi stadi di carcinoma dell’ovaio

In una larga frazione di primi stadi la chirurgia può essere curativa, ma in casi in cui ci sono dei fattori prognostici negativi, come la presenza di cellule tumorali nel lavaggio peritoneale o caratteristiche patologiche sfavorevoli, si procede generalmente con la terapia con carboplatino.

Terapia: evoluzione e sviluppo

La terapia dei tumori dell’ovaio è in rapida evoluzione e lo sviluppo degli inibitori di PARP ha fatto comprendere come sia importante una caratterizzazione delle proprietà biologiche del tumore. Esistono delle solide dimostrazioni che indicano come mutazioni germinali o somatiche di BRCA1 o BRCA2 aumentino la sensibilità agli inibitori di PARP. Sembrerebbe che un’altra caratterizzazione utile sia quella deficienza della “Ricombinazione omologa” e gli esperti hanno sviluppato una serie di test per valutare questo parametro nel modo più preciso e potenzialmente utile per le decisioni terapeutiche.

Anche rispetto alla terapia differenziale dei diversi istotipi si crede che sarà guidata nel prossimo futuro dai risultati di ricerche di caratterizzazioni molecolari che permetteranno di identificare dei potenziali bersagli specifici per i diversi istotipi. Diversi Istituti di ricerca stanno attivamente partecipando a queste ricerche che si spera daranno dei frutti con possibili applicazioni nei prossimi anni.

A cura di

Maurizio D’Incalci

Humanitas University

Lab. Farmacologia Antitumorale Humanitas Research Hospital

Aggiornamento Maggio 2023

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